
Riferisce il Piombanti nella sua “Guida storica ed artistica della città e dei contorni di Livorno”che il granduca Ferdinando I, dopo le vittorie sui barbareschi ottenute tramite i cavalieri di S. Stefano, volle erigere un monumento per celebrare queste imprese, scegliendo come sito la darsena da lui scavata. Affidò a Giovanni Bandini la realizzazione della statua colossale di Ferdinando, rappresentato come gran maestro dell’Ordine di S. Stefano, rivolta verso il mare. Intendeva inoltre che Pietro Tacca fondesse in bronzo quattro statue di corsari barbareschi incatenati ai piedi del granduca, simbolo del dominio sui nemici che minacciavano il commercio e la sicurezza della città.
Piombanti sottolinea la qualità artistica delle statue dei quattro schiavi, che esprimono diverse età della vita con grande realismo e armonia, e ricorda che alla base della statua di Ferdinando erano posti armi e trofei barbareschi, con iscrizioni poetiche a celebrare la vittoria. L’opera fu concepita anche per impressionare gli stranieri che approdavano a Livorno, mostrando la città come patria delle arti e della cultura.
Il monumento fu realizzato su commissione di Ferdinando, come confermato da documenti storici e da studiosi, e le statue dei mori furono fuse con cannoni conquistati agli infedeli. Tuttavia, dopo la morte del granduca, l’opera fu completata dai suoi successori e inaugurata nel 1617, con l’aggiunta progressiva delle statue e dei trofei.
Durante l’occupazione francese del 1799, il generale Miollis considerò il monumento un insulto all’umanità, vedendo i corsari come valorosi e Ferdinando come un tiranno crudele. Propose di sostituire la statua del granduca con una figura della Libertà che liberasse i mori, ma il monumento fu danneggiato e i trofei militari furono saccheggiati. Dopo il ritorno degli italiani, la statua di Ferdinando fu restaurata e rimessa al suo posto, mentre le statue dei mori furono spostate in un luogo poco accessibile, suscitando dibattiti sulla loro collocazione.
Piombanti critica chi, come Guerrazzi, maledisse il monumento senza comprenderne il significato storico e culturale, ricordando che senza Ferdinando non ci sarebbe Livorno. Nel corso della seconda guerra mondiale, per proteggerlo dai bombardamenti, il monumento fu smontato e custodito in luoghi segreti, per poi essere dimenticato, con le statue dei mori lontane dalla loro sede originale.
Gastone Razzaguta, vissuto in quegli anni, esprimeva tristezza per l’allontanamento delle statue, evocando poeticamente il loro legame con la città e la loro condizione di prigionia e esilio lontano dalla darsena, dove un tempo guardavano i quattro punti cardinali e vegliavano sulla città. Razzaguta sperava nel loro ritorno a Livorno, sottolineando il valore artistico e storico del monumento e il dolore per la sua attuale trascuratezza.